Il Disturbo Ossessivo Compulsivo, nei manuali diagnostici, viene descritto come una patologia caratterizzata da pensieri e immagini intrusivi che creano una certa ansia. Questo obbliga chi ne soffre a mettere in atto azioni e pensieri al fine di ridurla (ciò che viene chiamato compulsione o rituale). In un'ottica strategica è la ricerca del controllo così ben riuscita a intrappolare la persona. L'individuo, infatti, viene bloccato in un circolo vizioso: i pensieri ossessivi arrivano e per sedarli si è costretti a mettere in atto dei rituali. Questi ultimi, sul momento funzionano poiché danno sollievo, ma si tratta di un'illusione, di una tranquillità momentanea. Dopo un po' l'ossessione torna e si è di nuovo costretti a mettere in atto la compulsione. Ciò porta nel tempo ad una vera e propria invalidazione. Il disturbo ossessivo compulsivo, più di altre patologie, è l'esempio di come ciò che la persona mette in atto per risolvere il disagio (tentata soluzione), diventa poi il vero problema. Molto spesso il paziente con DOC dice: “Io so perfettamente che l'ossessione non ha senso e il rituale è inutile, ma non ce la faccio a non metterlo in atto”. Il rituale, a volte, inizia per caso. Facciamo un esempio: pensate ad un ragazzo che deve sostenere un esame all'università. Quel mattino, casualmente, indossa una maglietta rossa. L'esame va molto bene. La volta dopo decide di rimettere quella stessa maglietta, come se fosse un po' il suo porta fortuna. Se questa credenza, però, viene protratta nel tempo, si può arrivare ad un punto in cui il giovane non può più fronteggiare nessuna prova importante senza indossare quella maglietta. Andando ancora oltre, può arrivare a pensare che quell'indumento rappresenti la buona sorte: se lo indossa andrà tutto bene, se non lo farà le cose andranno storte. Così arriva a non togliersela più di dosso.
Quindi cos'è il disturbo ossessivo compulsivo? È il rituale che all'inizio può essere di aiuto, ma subito dopo diventa una vera e propria schiavitù. La persona non può farne a meno.
Il DOC più comune è sicuramente quello del lavaggio delle mani: razionalmente io mi sporco le mani e me le lavo, ma arriva il dubbio: “Me le sarò lavate bene?”; per sicurezza lo faccio una seconda volta. Questa ripetizione va a confermare il dubbio che forse la prima volta non le avevo lavate bene. Il rituale va a confermare l'ossessione e la alimenta.
Questo disturbo spaventa proprio perché può presentarsi in tante forme. Ci sono vari tipi di rituale:
Razionali: il lavaggio delle mani; il controllare (la porta, il gas, lo sportello dell'auto...). La persona razionalmente pensa che così facendo placherà la sua ansia;
Magici: ripetere una certa sequenza di azioni, contare in un certo modo, ripetere delle frasi....il tutto per propiziare che determinate cose vadano bene;
Religiosi: il pregare un certo numero di volte.
I rituali possono essere nell'azione (ripetere una certa cosa, come ad esempio aprire e chiudere il frigorifero 7 volte per essere certi di non averlo lasciato aperto), o mentali (devo ripetere mentalmente dei numeri 27 volte perché se non lo faccio accadrà qualcosa di brutto ai miei genitori).
I rituali possono avere più di una funzione:
Riparatori: il soggetto li mette in atto per riparare ad un errore (ad esempio aver toccato qualcosa di sporco);
Preventivi: evito o faccio determinate azioni per prevenire che accada qualcosa;
Propiziatori: faccio una certa cosa così la mia giornata andrà bene.
Il primo passo è indagare bene l'ossessione che la persona porta. Esistono tante ossessioni quante se ne possono inventare e possiamo sentirci raccontare di tutto: paura del contagio, paura di perdere il controllo di qualche funzione fisica (farsi la pipì addosso), paura di impazzire, paura di non essere un buon cristiano...E la compulsione è quella che andrà a proteggere l'ossessione. Quando abbiamo capito cosa percepisce come pericoloso la persona, andremo a capire come cerca di placare questa ansia (ovvero che genere di rituale mette in atto). L'intervento andrà ad attaccare proprio la parte compulsiva, poiché è questa che va ad alimentare l'ossessione. Così andiamo a creare un contro-rituale costruito ad hoc. Per far sì che la persona sia in grado di metterlo in atto deve essere quanto più simile possibile al rituale, poiché chi soffre di DOC crede che l'unico modo di fermare i pensieri sia quello di mettere in atto la compulsione. Il terapeuta strategico deve essere veramente bravo a costruire il contro-rituale che aiuti la persona a bloccare il circolo vizioso in cui si è intrappolata. Per raggiungere questo obiettivo esso deve essere simile nella logica, ma apportare qualcosa di diverso così da creare dei meccanismi differenti. Facciamo un esempio prendendo un classico: la persona che teme lo sporco e che effettua dei lavaggi ripetuti fino a scorticarsi le mani. Non possiamo dirgli di smettere di farlo, ma l'idea è che se non si può combattere un nemico dobbiamo scendere in campo con ciò che lui ci propone. Citando un antico stratagemma cinese, dobbiamo “far salire il nemico in soffitta per poi togliere la scala”. Quindi diciamo al paziente: “Ogni volta che sentirai il bisogno di eseguire uno dei tuoi rituali, potrai decidere di non farlo, ma se sceglierai di farlo dovrai farlo 5 volte, né una volta di più, né una volta di meno”. Cosa succede? La persona si sente tranquilla perché non gli abbiamo detto di non farlo, ma di metterlo in atto in un certo modo. Ma in realtà cosa facciamo con questa manovra? Portando la persona a ripetere le sue sequenze di lavaggio per 5 volte, non è più la compulsione che detta le regole. Lo sta facendo, ma non nel modo dettato dall'ossessione, bensì da quello suggerito dal terapeuta e messo in atto dal paziente stesso. Così s'innesca un cambiamento nel controllo. La persona passa dal non avere nessun controllo (sottostà completamente all'ossessione come una marionetta), a riprenderlo piano piano. Si procede così, aumentando il numero se necessario, finché non si arriva ad ottenere l'effetto saturazione. Il paziente, riprendendo il controllo, arriva ad un certo punto a poter dire “no” all'ossessione. Il primo effetto più frequente è che, tra non fare il rituale e doverlo fare 5 volte, nelle cose meno ansiose inizia a scegliere di non farlo. Riprendere il controllo in questo senso lo spinge, poco a poco, a riuscire anche in cose più ansiose fino ad arrivare ad azzerare i rituali. Lo si porta a vivere, quella che noi chiamiamo un'esperienza emozionale correttiva: pur non avendo fatto il rituale si accorge che non succede niente. Così inizia a mettere in dubbio la credenza che l'unico modo per stare tranquilli è mettere in atto il rituale. Il dubbio si insinua e fa breccia nell'assoluto, rendendo la persona più forte nei confronti dell'ossessione.
L'altro step è quello di attaccare anche la parte più ossessiva, il pensiero. Il paziente con DOC appare perfezionista (o bianco o nero) e questa perfezione va “contaminata” (aggiungendo un po' di bianco nel nero e viceversa). Una volta estinta la parte compulsiva è molto importante dedicarsi a quella ossessiva. Altrimenti è come lasciare un seme che, se ritrova un terreno fertile, germoglia nuovamente. Il rischio sarà quello di far esprimere il DOC in altre forme: disturbo alimentare o dipendenze.
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In terapia non è sempre richiesta la presenza dei famigliari. In una buona percentuale dei casi il paziente è coinvolto in prima persona ed è sufficiente lavorare con lui. In tante altre situazioni però, essendo il disturbo così invalidante, va ad influire anche nella vita dell'intera famiglia. Il sistema familiare, allora, può essere coinvolto direttamente o indirettamente. Spesso chi sta intorno al paziente non sa come gestire i momenti critici o la sua eventuale aggressività. La priorità di chi soffre di DOC è sempre quella di mettere in atto la compulsione e, se gli altri non collaborano a questo, possono esserci importanti agiti di rabbia. Quindi dare delle indicazioni ai familiari diventa fondamentale. In molti casi genitori o coniugi sono coinvolti in prima persona e assecondano le richieste del paziente (lasciano fuori le scarpe, si lavano, tengono le cose in un certo ordine, ricontrollano se il gas è chiuso...). Così facendo rimandano un messaggio contraddittorio: a parole ti dico che la tua paura è immotivata, ma con i fatti ti confermo che il pericolo esiste. Tutto questo, se pur fatto con le migliori intenzioni, nutre ancora di più l'ossessione. Ci sono anche evenienze in cui sono i famigliari a venire in terapia poiché il paziente si rifiuta di farlo. Per il paziente DOC l'unica soluzione è il rituale, quindi non vuole un aiuto diverso. In queste situazioni viene praticata la terapia indiretta lavorando esclusivamente con la famiglia. I famigliari arrivano sempre molto preoccupati e impauriti. Temono che non assecondando il paziente le cose possano peggiorare. Il primo passo, quindi, è quello di spiegare che in realtà fare ciò che il figlio/il partner richiede non è assecondare lui, ma diventare complici dell'ossessione. Non stanno aiutando lui, ma favorendo la compulsione che andrà ad alimentare il pensiero ossessivo. Già togliendo questo “aiuto” arriva il primo miglioramento poiché si insinua il dubbio. Considerando, poi, che i rituali spesso sono molto pesanti, l'aiuto dei famigliari solleva il paziente dal doverli attuare. È importante, invece, far gestire tutto alla persona, poiché solo così può arrivare a chiedere aiuto.
Un' azione ha senso solo dentro al suo contesto e la differenza tra DOC e precauzioni da Covid sta proprio in questo. In questo momento la minaccia è reale e dobbiamo veramente stare attenti. Il lavaggio, in questo senso, è un comportamento adattivo. Diventa un disturbo quando il comportamento invece di essere adattivo è invalidante. Il Doc è il contrario della flessibilità.
Può, però, questo particolare periodo storico costruire dei disturbi ossessivi compulsivi?
Si se la persona, una volta che cambierà il contesto, non sarà in grado di abbandonare certi comportamenti. Detto in altri termini: togliersi le scarpe prima di entrare in casa, igienizzarsi frequentemente le mani, pulire a fondo gli ambienti, in questo momento è protettivo ed adattivo. Quando saremo liberi dal Covid determinate precauzioni non saranno necessarie e andranno abbandonate. Se, però, una persona dovesse continuare a sterilizzare tutto, a igienizzarsi le mani prima di toccarsi il naso, a rifiutarsi addirittura di mangiare senza essersi passata il gel disinfettante, ad avere problemi a far entrare qualcuno in casa con le scarpe, allora potrà essere inquadrata in un versante patologico. Non si parla solo di possibile disturbo ossessivo compulsivo, ma anche di fobia sociale ( timore di stare in mezzo agli altri) o fobie specifiche.
Se si ha già un DOC, si può peggiorare in questo momento?
Questa è una situazione di incertezza che sta creando una certa angoscia e un grande senso d'impotenza. Chi è più vulnerabile, ovviamente, ne soffre di più ed è facile che s'intensifichino dei meccanismi già presenti alimentati dall'angoscia. Una recente ricerca (2021) riporta che il 63% della popolazione considerata “sana” sta andando incontro a panico, ansia, reazioni depressive e disturbi del sonno. Si può, quindi, immaginare come la percentuale di fragilità e patologia aumenti in quelle persone a cui era già stato diagnosticato un disturbo. Il primo passo, qui, è accettare che siamo in un momento in cui non abbiamo il controllo e cercare di averlo peggiora soltanto le cose. Passando per questa accettazione possiamo trovare delle strategie per costruire nuove abitudini e dei nuovi modi di relazionarsi.